mercoledì, dicembre 07, 2016

IL No alla riforma di Renzi come voto di classe

Renzi ha perso, anzi straperso, il referendum Costituzionale del 4 dicembre,  e la legge di riforma costituzionale approvata dalla sua maggioranza, peraltro a colpi di fiducia (manco fosse una legge ordinaria dello Stato !) con la quale si proponeva di stravolgere la Costituzione Italiana.
Naturalmente la chiave di lettura prevalente fra i sicofanti al servizio della classe dominante c'è quella che avrebbe vinto la conservazione, o,ancora, che sarebbe un voto dato contro la persona (e non il governo) di Renzi a causa della cosidetta "personalizzazione" da quest'ultimo fatta del referendum.
Quest'ultima interpretazione ha anche qualche senso, ma è da dimostrare che senza questa "personalizzazione" il sì avrebbe vinto. La Riforma Costituzionale era, ad essere buoni, un autentico pastrocchio, probabilmente se fosse stata approvata sarebbe stata ampiamente inapplicabile e sarebbe stata ridotta a poca cosa dopo gli inevitabili ricorsi alla Corte Costituzionale, visto che i conflitti di competenze fra Camera e Senato e Stato e Regioni sarebbero stati all'ordine del giorno, tant'è vero che persino colei la cui firma compare in calce alla legge, ovvero la bellissima e ambiziosissima Ministra delle Riforme Boschi, ha ammesso candidamente che "andava aggiustata" cioè rifatta da capo. Probabilmente chi ha votato NO non aveva troppo presente questo tipo di problematica, ma di sicuro chi ha votato SI la ignorava del tutto. Nei fatti però la legge riduceva la partecipazione del "popolo Sovrano" al governo del paese, e nei fatti è per questa ragione che il NO ha prevalso. Gli italiani hanno difeso la costituzione da chi voleva stravolgerla, come già nel 2006 con le riforma di Berlusconi (che quella Boschi Renzi ricalcava nello spirito). Questa riforma si inseriva perfettamente all'interno dell'ideologia che da 20 anni a questa parte vuole privilegiare la "governabilità" rispetto alla rappresentatività, e, quindi, ha portato alla demonizzazione prima  deisistemi proporzionali di rappresentanza e poi del bicameralismo. Eppure in Italia questo sistema considerato lentissimo ed inefficace ha consentito all'Italia di divenire la quinta economia mondiale, di fare leggi come lo Statuto dei Lavoratori (che il governo Renzi ha sostanzialmnete distrutto) la legge sul divorzio, la legge sull'aborto, la legge Basaglia che aboliva gli orrori dei manicomi e tante altre. Ha consentito persino al governo illegittimo e barcollante di Renzi di partorire il Jobs Act, la Buona Scuola (che tanto buona pare non essere) la legge sulle coppie di fatto, ed anche, in soli 13 giorni, trasformare in legge il decreto salva banche, salvando anche la banca del paparino della ministra Boschi, oltre che la legge sulle province, (un vero disastro certificato dalla Corte dei Conti)  e questa fantastica riforma costituzionale.
Quindi tutta questa necessità di abolire (parzialmente, peraltro) il bicameralismo non c'era, alla fine. e gli elettori ( o almeno larga parte di essi) lo hanno capito perfettamente.
Se poi analizziamo i dati elettorali saltano agli occhi cose che smentiscono la bufala che ci è stata venduta, ovvero che il fronte del No fosse egemonizzato dalla destra (in realtà larga parte di Forza Italia appoggiava il sì come i centristi di NCD) e che gli elettori del PD avrebbero votato in larghissima parte per il Sì.
Difatti in zone "rosse" come Genova e La Spezia il NO ha preso la stessa percentuale nazionale, e Regioni governate dal centro sinistra, come Puglia, Campania e Sardegna, il No ha letteralmente travolto il sì. persino lin Umbria ha prevalso il No, seppur di poco. In sostanza a votare Sì è stata solo l'Emilia Romagna (con una differenza strettissima, ma in svariate province ha prevalso il NO) e la TOscana. Ma anche qui ci sono sorprese, se Grosseto e Lucca non lo sono, lo è di più Livorno,  città che vide la nascita del PCI,dove il No ha prevalso,  e Pisa ,dove il Sì ha vinto per una manciata di voti. Se guardiamo al voto delle grandi città poi vediamo come il voto sia stato, ampiamente condizionato dall'appartenenza di classe. Difatti sia a Milano, che a Torino e Roma, il Sì ha prevalso solo nei quartieri centrali, quelli della ricca borghesia e dei salotti bene. Se a Torino e Roma la cosa poteva essere (relativamente) scontata,  e però emerge con grande chiarezza, a Milano è forse ancora più significatica. A Milano città infatti il SI prende la pazzesca quota del 64,5% nel municipio 1, quello di Piazza del Duomo e Via della Spiga, la Milano da bere craxiana e poi berlusconiana. mentre stenta nel resto della città e tracolla nella cintura operaia. Da Sesto San giovanni, dove il NO prevale con olre il 54% a Cinisello, San giuliano milanese, sopra al 55%,fino a  Rozzano dove il No supera la media nazionale con il 60%.
Se si confronta il voto a Sala sindaco, con il Si, si può notare come quest'ultimo sia stato nettamente superiore nel municipio 1. Infatti siamo al 64% contro il 52,5%, ma se consideriamo che al secondo turno delle recenti comunali aveva votato poco più della metà, mentre per il referendum si è superato il 73%, ecco che le cifre reali diventano strabilianti.Siamo, virgola più, virgola meno, al doppio dei voti reali.
Mi pare evidente quindi che il SI sia stato appoggiato, oltre che dai fedelissimi del PD, che hanno votato la riforma nel tentativo di non far cadere il governo, da settori ampi della borghesia, e non solo quella "illuminata" e radical chic dei vari Eugenio Scalfari e De Benedetti, ma anche quella più conservatrice, mentre dall'altro lato, una ampia partecipazione popolare  come non si vedeva da tempo ha portato il No ad un risultato che va ben al di là delle previsioni dei sondaggi (che davano al massimo 10 punti di vantaggio).
Evidentemente molti elettori di sinistra che non votavano più (nemmeno il M5S) sono tornati a votare per dire la loro.
Da tutto ciò risulta con chiarezza un fatto: che la sinistra(il PD in particolare) ha perso il contatto con la propria base sociale, contatto che dovrà necessariamente ristabilire, se non vuole (meritatamente) estinguersi.
Dai fallimenti nascono le opportunità, ma bisogna saperle cogliere.

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