giovedì, agosto 31, 2006

L'assassinio di Renato Biagetti: un omicidio fascista

La notte del 26 agosto, a Focene, sul litorale Romano, veniva ucciso a coltellate il giovane Renato Biagetti di ventisei anni, Le scarne e distratte cronache agostane catalogano subito il delitto come conseguenza di "una rissa tra balordi" per giunta "per futili motivi". La verità, dopo qualche giorno, come sempre, viene a galla. Renato non è un balordo, ma un giovane senza alcun precedente penale, con idee di sinistra, che frequenta i centri sociali e le feste come quella da cui stava tornando in compagnia di due suoi amici, Paolo e Laura. Gli amici e i parenti lo descrivono come una persona tranquilla e, istintivamente non violenta. Gli aggressori sono due govanissimi, di cui il più grande. Vittorio, figlio di un carabiniere, si è fatto tatuare una croce celtica sul braccio, sormontato dalla scritta "Forza e onore". In più gira spesso armato di coltello, come quella tragica sera. Insomma, si tratta del classico fascista di borgata, cane sciolto ma non per questo meno intriso di quella retorica della "forza e dell'onore" di cui deve essere talmente convinto da essersela fatta tatuare sul braccio.
La ricostruzione dei fatti non è, al solito, chiarissimo. Quello che è certo è che sono le 5 del mattino e i tre ragazzi escono dallo stabilimento balneare dove è appena finita una festa reggae, qui vengono avvicinati dalla macchina su cui stanno gli aggressori, partono delle minacce e degli insulti, poi Vittorio Emiliani scende e colpisce con sette coltellate Renato.
Difficile dire che si tratti di una rissa, e altrettanto difficile è affermare che non vi sia premeditazione (la strada è a fondo chiuso) Ancora più difficile è sostenere la tesi, che viene subito sposata dai carabinieri e da pressochè tutta la stampa, che non sia un omicidio a sfondo politico. Se uno che ha una celtica tatuata accoltella uno che frequenta centri sociali è difficile dire che non vi sia, almeno in parte, una motivazione politica. Peraltro la politica non ha mai evitato la deriva della stupidità o della follia, anzi.
Il litorale romano è, peraltro, una zona dove la destra più radicale e razzista ha uno delle sue roccaforti. Una zona dove sono frequenti le aggressioni sia nei confronti degli "avversari" politici, sia quelle di stampo razzistico, Proprio la sera prima si era verificata una selvaggia aggressione nei confronti di quattro clochard assaliti e prese a bastonate e sprangate da ignoti aggressori.
Un omicidio forse causale nella sua brutale stupidità e nei suoi protagonisti, ma sicuramente non casuale nella sua logica. Quando si creano dinamiche di odio e violenza diffuse, è del tutto ovvio e quasi inevitabile che, prima o poi, ci scappi il morto.
Un omicido che quindi non esito a definire fascista in quanto, al di là della evidente connotazione politica di chi l'ha commesso, è il frutto di una chiara, per quanto confusa e velleitaria, visione politica della società. Una visione dove bisogna "distruggere il diverso" come recita un aberrante quanto fortunato slogan, dove l'esercizio della forza significa "Onore", e dove ignoranza ed emarginazione sono terreni fertili per l'attecchire della malapianta del razzismo, della violenza e della discriminazione.

giovedì, agosto 24, 2006

Domino: uno spot in salsa Pulp


Per fare un film dovrebbero bastare alcuni elementi di base: una storia, degli attori in grado di recitare, e un regista in grado di mettere per immagini quanto sopra e di realizzare qualcosa che sia comprensibile ed intrigante: Sembrerebbe semplice, ma così non è. Prova di questo è Domino ultimo film di Tony Scott. Gli elementi per fare un buon film c'erano tutti: una storia vera, di una ragazza bene che si mette in testa di fare la cacciatrice di taglie, un cast non stellare ma sicuramente di buon livello (Keira Knightely, il redivivio Mickey Rourke, Lucy Liu, Mena Suvari, Cristopher Walken e persino Tom Waits in un cammeo che forse è l'unica cosa da salvare del film, oltre alle grazie di miss Knightley ). Invece Domino è tutt'altro che un buon film, anzi si candida al mio personale premio di peggior film del 2006 (ma c'è ancora tempo). Questo perché il regista Tony Scott, che viene dalla pubblicità e non fa nulla per nasconderlo, ha preferito sacrificare qualsiasi logica narrativa alla "bella immagine" o comunque ad una estetica, peraltro molto discutibile, per cui ogni scena o quasi viene girata come se fosse il finale del "mucchio selvaggio", Da qui lo spreco di immagini dei nostri tre eroi (eroi?) che camminano al ralenty, oppure di scene con immagini sgranate, che potrebbe essere anche una buona idea, ma che usata ogni tre per due finiscono solo per annoiare lo spettatore. Il tutto condito poi con un montaggio a "cazzo di canguro" nel senso che il montaggio è alla cazzo, ma in più è fatto in modo saltellante, per cui si finisce per non capire niente. Se si aggiunge a questo una trama (trama?) talemente complicata e cervellotica da essere quasi impossibile da seguire (uno dovrebbe mettersi con il block-notes ad appuntarsi tutti i passaggi salienti, che sono almeno una trentina) da far generare il sospetto che sia stata fatta apposta per rendere incomprensibile il tutto, ne risulta un film indigeribile.
Alla fine il film risulta essere una sorta di lungo spot, con alcune scene che, prese a sé stanti, possono anche risultare intriganti e risvegliare la curiosità dello spettatore, appunto come avviene negli spot, ma senza una trama decente nè l'approfondimento psicologico che la materia avrebbe richiesto la pellicola finisce presto per essere noiosa, oltre che evidentemente stupida.
Il Tarantinismo di maniera che affiora qui e là non serve ad altro che come condimento Pulp di un lungo spottone sotto mentite spoglia.
PS. Ripensandoci, mi sono venuti in mente anche alcuni anacronismi delf ilm, per cui mentre la storia sembra ambientata oggi, nel 2005 (Domino riceve persino un premio come migliore cacciatrice del 2002) l'Afgano che fa parte del gruppo vuole ancora liberare l'Afganistan dai sovietici e Domino afferma che adora Pat Benatar, che dubito una ventenne di oggi sappia nemmeno chi sia.

martedì, agosto 22, 2006

W la bici!


Lunedi mattina, di buon'ora (beh, facciamo di discreta ora) ho inforcato la mia bici (un misto di mountain e city-bike) ho preso la pista più o meno ciclabile detta del Naviglio Martesana, e mi sono diretto verso l'Adda. Agosto, la città semideserta e la giornata soleggiata ma non troppo calda o afosa rendevano la giornata ideale per questo giro. La mia intenzione era di giungere fino a Vaprio d'Adda. Sul cammino, dopo circa quattro kilometri, il primo "strano"incontro. Due pecore! Cosa ci fanno due pecore alla periferia di Milano? Probabilmente quello che fanno tutte le pecore. Pascolano.
Proseguo. Poca gente in giro, per lo più anziani, qualche giovane genitore col bambino, e qualche aficionados della bicicletta. Questi ultimi si riconoscono perché sono vestiti di tutto punto e vanno come dei treni. Per dire il vero anch'io sono vestito di tutto punto, ho riesumato la mia vecchia maglietta ciclo amaranto, quella che il commesso mi fece prendere dicendo "deve essere stretta!" e difatti è stretta, cazzo, se è stretta. però, se ci entro, vuol dire che non sono poi così ingrassato (bugia autoconsolatoria). Ho il caschetto in testa, che se uno mi vede pensa che sono uno che se la tira, ma provate voi a cadere e ad esser ricoverati per trauma cranico, e poi vediamo se non vi mettete il caschetto pure per prendere le sigarette ( che poi io non fumo) In quanto all'andare come un treno...figuriamoci. Diciamo che ogni tanto a qualcuno dei fanatici provo pure a stare dietro, e alle volte ci riesco pure, ma so ch n on vale spomparsi per una stupida ed inutile prova d'orgoglio, che tanto sull'albo d'oro del Giro o del Tour non ci vado più, e nemmeno i fanatici che mi superano, del resto...
Vado del mio passo, abbastanza sostenuto perché ho in mente di fare circa una settantina di kilometri, e mica posso aspettare che si faccia sera, però nemmeno voglio morire disidratato. L'acqua ce l'ho, anzi è uno dei dissetanti in circolazione, comunque si beve e tant'é. Nel mio viaggio incontro papere e anatrelle varie, che alle volte stanno addirittura sulla strada, oltre che ai soliti piccioni e qualche cornacchia.
Ad un certo punto, dopo Groppello, mi trovo di fronte ad un bivio, da una parte la strada continua lungo l'argine del fiume, dall'altra scenda per una discesina ( non tanto discesina, scoprirò poi). Dovrei stare sulla strada lungo l'argine, ma non solo non è asfaltata, ma è piena di pietroni e buche. Che faccio, vado dall'altra parte?. Mi viene in soccorso la mia memoria cinematografica: non l'ho visto forse "Wrong turn"? non ho visto "le colline hanno gli occhi"? E se in fondo al sentiero ci fosse una famiglia di cannibali pronta ad assalirmi? Meglio la strada asfaltata e più frequentata.
Giusta decisione.
Non solo non vengo ucciso e divorato ma giungo proprio sul fiume. MA allora dove portava l'altra strada?
Meglio non saperlo.
Qui c'è un grande ponte. Mi viene in mente il ponte sul fiume Kwai.Scendo dalla bici e l'attraverso. Anziani, mamme e bambini sono tra gli altri visitatori. Giungo sull'altra sponda. LEeggo il cartello. Tara Gera D'Adda. Non mi dice niente. Pare che ci sia una bella basilica. Ripasso il ponte e faccio dietrofront, l'ultimo pensiero alla famiglia di cannibali che mi aspettava di là, nel bosco, sulla strada sbagliata.
Ancora trenta kilometri per tornare, ma piano piano, facendo ricorso alle ultime stille di energia (Ok, sto un po'esagerando) ce la faccio, a pochi kilometri dall'arrivo incontro di nuovo le pecore. Si sono spostate un poco più in là e sono una decina. Le saluto. Una bella passeggiata, lontano, non troppo ma quel che basta, dal traffico, dalla nevrosi della metropoli. passeggiando tra gli animali (pochi,ma va bene così) e salutando persone sconosciute.

sabato, agosto 19, 2006

Cinema: Lady Vendetta e London


Lady vendetta di Chan Wook Park è uno di quei film che lasciano lo spettatore medio indeciso sul fatto che si sia di fronte ad un capolavoro o ad una boiata pazzesca per dirla alla Fantozzi. Il film alterna in effetti momenti di altissimo cinema a cadute di tono e di stile, cinematografico e non, piuttosto evidenti. La trama è presto detta: una donna, che si era autoaccusata dell'uccisione di un bambino, esce dopo 13 anni dal carcere e cerca di vendicarsi del vero responsabile dell'omicidio. Il montaggio del film è fin troppo serrato e i continui salti spazio-temporali non facilitano di certo la comprensione dela trama, già piuttosto frammentaria di per sé. Ma se si resiste ai primi venti minuti, e ad una sceneggiatura abbastanza sgangherata, piano piano si riescono ad apprezzare alcuni momenti sparsi qui e là di raffinata arte cinematografica, fatta di inquadrature fisse alternate a movimenti improvvisi, a scene drammatiche sottolineate da musiche originali e indubbiamente ben scelte, ad una buona caratterizzazione psicologica dei personaggi. La trama è poi, seppur abbastanza schematica come ogni "vengeance film" che si rispetti, e piena di salti logici, molto più varia e complessa del tanto decantato (e sopravvalutato) Kill Bill. Purtroppo il film, come già detto, alterna momenti alti con cadute di tono vertiginose, tanto evidenti da far venire il sospetto che siano volute. Esempio perfetto è l'ultima scena, in cui la protagonista sta per riabbracciare la figlia, la neve cade intorno, una musica dolce e struggente sottolinea il momento e che ti fa il regista? fa dare alla protagonista una testata alla torta che lei stessa tiene in mano.
Il dubbio rimane: arte pura o pura cialtroneria?

Abbastanza sconcertato dalla visione di questo preteso capolavoro mi sono posto alla visione di London , film sconosciuto di cui ignoravo tutto, tranne che la protagonista femminile era Jessica Biel, da me amata dopo averla vista lottare contro una famiglia di cannibali nell'ottimo remake di Non aprite quella porta. Come spesso (ma non sempre) mi succede, il film sconosciuto risulta essere nettamente migliore di quello più conosciuto. La storia è anche qui molto semplice: un ragazzo, devo dire piuttosto sciroccato, e non solo perché fa ampio uso di alcool e stupefacenti, si reca alla festa di addio della sua ex( lei sta per trasferirsi in un'altra città), di cui è ancora follemente innamorato (ed essendo la sua ex per l'appunto Jessica Biel, non sappiamo dargli torto). Ha però la cattiva idea di procurarsi una bella dose di roba e, per giunta, di portarsi dietro la spacciatore, che in realtà è un agente finanziario ancora più sciroccato e disperato di lui. Tutto il film si svolge praticamente nel bagno della ricca proprietaria che ha organizzato la festa, dove i due discutono di tutto e di più, l'esistenza di Dio, il senso della vita, e soprattutto, il loro rapporto con l'altro sesso, che nel caso del protagonista è rappresentato dalla sua ex, appunto la London del titolo ( e io che pensavo fosse la città!) il tutto condito con una serie di flashback ben realizzati (il che dimostra che è possibile variare i tempi del racconto senza far perdere la biglia al povero spettatore) fino alla svolta finale.
Un film del genere si deve basare per forza su delle prove d'attore all'altezza, e bisogna dire che nessuno delude.
Bravo Chris Evans, finora noto come uomo torcia nei fantastici quattro, che dimostra di sapere recitare, brava (oltre che sexy) anche Jessica Biel, perfetta come oggetto del desiderio ma anche capace di tonalità drammatica da attrice vera. Ma l'asso nella manica del film è Jason Statham, già fattosi notare in The Italian Job che dimostra di essere un attore coi fiocchi, dando al suo personaggio uno spessore incredibile. insomma un film bello ed originale, credo che del regista/sceneggiatore Hunter Richards sentiremo ancora parlare, almeno mi auguro, perché in un cinema dominato dalle varie Sofia Coppola c'è bisogno urgente di gente con idee e capacità.

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