giovedì, dicembre 29, 2011

Quella irrefrenabile antipatia per Hugo Chavez...


Giracchiando per Facebook mi capita l'occhio su questo articolo ;>,
Niente di che, un po' di banalità confuse viste dal punto di vista del giornalista medio italiano, quindi Anti-Putin, ma anche anti-Obama. La parte che mi colpisce è quella dedicata al Vnezuela ed al suo presidente Chavez che riporto:
Presidenziali in Venezuela. A Caracas dal 1999 regna sovrano il caudillo pop, Hugo Chavez. Fino a qualche mese fa era quasi scontata la sua rielezione a giugno del 2012, ma da quando il presidente venezuelano ha reso noto di avere un cancro e di sottoporsi a cicli di chemioterapia sull’isola di Cuba, a casa dell’amico Fidel, tutti i pronostici sono cambiati. La grinta di Chavez finora è stata determinante per mantenere il potere, ma il Paese patisce i morsi di politiche economiche fallimentari, come le nazionalizzazioni, e la gente è sempre più stufa della retorica bolivariana del socialismo o muerte. Nei supermercati mancano pane e latte e in molti potrebbero preferire votare il leader dell’opposizione, a un presidente stanco e malato.
Notate il tono apocalittico, ma sopratutto le contraddizioni dell'articolo: si attribuiscono le difficoltà di Chavez solo allo stato di salute però poi si afferma che la gente è stufa e si sottolinea (il grassetto è presente nell'originale) come la disaffezione sia dovuta a "politiche economiche fallimentari" in particolare le nazionalizzazioni.
Ho voluto verificare brevemente tale affermazioni ed ho trovato, digitando "PIL VENEZUELA 2011" il seguente articolo di tono decisamente diverso.
Difatti qui si sostiene il contrario, ovvero che il Venezuela vive un vero e proprio boom economico che si protrae ormai da almeno 15 anni (più o meno il tempo in cui Chavez è al governo, seppure non venga mai citato) e che ha scavalcato l'Argentina al secondo posto dei paesi più ricchi del SudAmerica. C'è da dubitare che la gente non trovi pane e latte (ovvero nulla essendo pane e latte il mangiare dei poveri) in un paese che è tra i più ricchi dell'America Latina
I dati sono forniti dal Fondo Monetario Internazionale, di certo non sospettabile di simpatie sinistrorse, e l'articolo è corredato di grafici (non più visibili ma non è questo il punto).
Questi due articoli mostrano chiaramente la differenza tra cattivo e buon giornalismo, o ancora, tra propaganda travestita da notizia, e corretta informazione basata sui fatti ( anche se paragonare il reddito medio di un paese a quello di un altro come indice di benessere non è molto corretto, bisognerebbe tenere conto dell'inflazione e della distribuzione di reddito).
Rimane però una domanda,ovvero: come mai la stampa italiana è sempre così ipercritica su qualsiasi cosa riguardi chavez, ed insiste su argomentazioni palesemente false, dalle accuse di falimento economico,a quelle di un presunto aumento della criminalità,alle patetiche accuse a Chavez di essere un dittatore (ignorando che ha regolarmente vinto decine di elezioni, pur avendo le principali televisioni del paese ovviamente contro)?
La risposta la si trova facilmente proprio nell'articolo di cui sopra, laddove vengono citate le nazionalizzazioni. Il governo Chavez ha sottratto il controllo dei petrolio alle multinazionali, destinando almeno parte dei proventi alla crescita ed allo sviluppo del paese, che difatti sta conosceno un periodo mai visto prima di crescita economica e benessere. Che poi Chavez non sia un mostro di simpatia è un altro paio di maniche. Neppure Sarkozy o la Merkel lo sono, se vogliamo dirla tutta...

venerdì, dicembre 23, 2011

Parlando di telefilm


Era un po' di tempo che non mi appassionavo più a telefilm: dopo la chiusura di Terminator the Sarah Connor Cronichles e Dollhouse (un Tf su cui varrebbe la pena ritornare) non avevo trovato niente a cui appassionarmi.
Sbagliavo nel caso di The Walking Dead; le prime puntate non mi erano piaciute, trama scontata e già vista (avete presente 28 giorni dopo?) personaggi alquanto banali e attori di maniera. Però devo dire che quardando la seconda stagione ho riveduto il mio giudizio. Certo gli attori sono sempre quelli ed i personaggi non sono cambiati, ma almeno sono cresciuti, è cresciuta l'intensità nei dialoghi, e forse, con meno zombie di mezzo, si è sviluppata meglio la descrizione della relazione fra i vari membri del gruppo di sopravvissuti. Purtroppo hanno interrotto a metà della seconda stagione e fino a febbraio non sapremo nulla.
American Horror Story è un tf di argomento soprannaturale, che racconta la storia di una famigliola, alquanto sconnessa, composta da padre psichiatra e fedifrago, madre tormentata a causa di sterilità sopravvenuta, e figliola dark e scontrosa, che vanno ad abitare in una casa dove si sono verificati in passato episodi di omicidi e brutture varie. Anche i vicini di casa (fra cui una sempre splendida quanto inquietante Jessica Lange) non sembrano molto normali. Il TF procede per accumuli di situazione, spingendo spesso e volentieri sul pedale dell'assurdo e del paradossale, per cui non sono riuscito a capire se si tratti di un Tf da culto o di una boiata pazzesca, però devo dire che, fra anziane cameriere che diventano all'improvviso sexy, giovani psicotici e vicine sadiche non ci annoia.
Lie to me continua a solleticarmi con la sua costruzione psicologica attorno a casi legali, che vengono risolti da un personaggio nevrotico e antipatico (dopo il successo di Dr House le serie TV ne sono piene, però questo è un po' diverso dagli altri)inbterpretato da Tim Roth (l'infiltrato ne "le Iene di Tarantino)
Mi ha sorpreso in positivo il Trono di Spade: generalmente i fantasy non mi piacciono molto, li trovo molto fanciulleschi, invece questo non lo è affatto, e non tanto per qualche scena d'azione cruda e qualche nudo (anche maschile) messo qui e là, quanto per una descrizione molto realista e anche cinica dei rapporti di potere in una società medioevale. Tra intrighi di palazzo, guerre minacciate e guerre realizzate la storia risulta gradevole ed interessante, ed anche qui si attende la seconda stagione che promette sfracelli.
Ma forse la asorpresa più piacevole è Teen Wolf: sarà che ho sempre avuto un debole per i lupi, mannari o no, sarà che i tf di ambientazione adolescenziale mi danno un certo senso nostalgico, però lo trovo veramente molto molto carino. Lo spunto inziale è abbastanza scontato come i personaggi di contorno: il classico sfigato che viene morso da un lupo e scopre qualità fino ad allora nascoste, la bella che arriva da un'altra città, il bullo della scuola e la reginetta di bellezza, e non può mancare l'amico tanto leale quanto imbranato.
Però la storia man mano diventa interessante, con altri lupi mannari, buoni e cattivi, e oscuri personaggi che sono nient'altro che cacciatori di mostri. Ritmo, battute divertenti e scene thriller sono l'ossatura di un Tf veramente fresco e gradevole, forse, se non di sicuro il miglior Tf di ambientazione Teen dai tempi di Buffy.

domenica, dicembre 18, 2011

Il razzismo in Italia fra finti stupri e veri omicidi

Due notizie hanno scosso (forse) l'opinione pubblica: il finto stupro denunciato da una sedicenne a Torino che ha causato un attacco ad un campo Rom e l'omicidio di due cittadini senegalesi (ed il ferimento di altri tre) ad opera di un estremista di destra.
Come già successo in altre occasioni si cerca, vuoi per stupidità, vuoi per calcolo politico, di deviare l'attenzione dai fatti rilevanti per concentrarsi su quelli secondari. Questo in particolare sui fatti di Torino, dove pare che il problema principale sia il fatto che una sedicenne non possa darla via liberamente perché sente il peso della verginità. Francamente a me non pare che sia questo il problema rilevante. Se la ragazza avesse denunciato lo stupro attribuendolo a qualche sconosciuto, lo sarebbe, ma la ragazza, come la famosa Erika a suo tempo, ha dato la colpa ad un gruppo sociale preciso, ovvero gli zingari Rom. Lei ha dichiarato di non essere razzista, e non dubito che non sia stato questo il motivo delle sue false accuse; ritengo che abbia, per risultare credibile, accusato un gruppo di cui si parla volentieri male, e a cui vengono attribuite alcune colpe vere e molte immaginarie, compresa l'abitudine di rapire bambini. Se questo fosse successo che so, a Belfast, ed i protestanti avessero attaccato il quartiere cattolico per vendicare qualche stupro o torto (o anche viceversa) non avremmo dubbi che l'elemento importante sia la tensione fra le due comunità. E' evidente quindi che lo stupro(vero o supposto che sia) sia un pretesto per attaccare in modo criminale persone innocenti, e che hanno la sola colpa di essere diverse.
Quanto avvenuto a Firenze è invece solare, e farlo passare per un gesto di follia isolata è veamente complicato, anche se certi sofisti ci hanno abituato a tutto. Siamo di fronte ad un estremista di destra, che frequentava la famigerata Casa Pound (un intellettuale americano antisemita)e che era convinto della esistenza di razze superiori ed inferiori. Ha pianificato ciò che ha fatto,lo ha fatto con delle motivazioni, folli certamente, ma fortemente sentite ed anche il gesto finale di togliersi la vita si inquadra in un preciso modo di vedere le cose, l'idea della bella morte, il suicidio del Samurai, il gesto esemplare, tutte idee e suggestioni molto diffuse nell'ambiente di riferimento.
Quanto accaduto è sicuramente frutto di una lunga campagna di odio insensato, come sostiene con lucidità il cittadino senegalese intervistato, e la situazione di crisi economica e di difficoltà economica potrebbero portare a guerre fra poveri rinfocolando ulteriormente odii razziali. La situazione è molto pericolosa.

venerdì, dicembre 09, 2011

Travaglio sulla manovra economica di Monti



Ammetto di essere pigro, e quindi non posos che ringraziare Marco Travaglio di aver detto, in modo perfetto, le ragioni per cui la manovra economica del "governo tecnico" di Monti è una porcheria. Andrebbe aggiunto che nella manovra non c'è un cent di taglio alle spese militari,e sarebbe il caso di lasciare l'Afganistan dopo dieci anni di occupazione, cosa che costa un paio di miliardi di euro all'anno.

giovedì, dicembre 08, 2011

Su Berlusconi ed il tramonto dell'antipolitica

Non ho ancora scritto nulla sulle dimissioni del Governo presieduto da Silvio Berlusconi. Ne ho già scritto talmente tanto in passato che tutto sommato penso fosse abbastanza inutile, e credo anche di essere stato tra i primi a dire che Berlusconi fosse ormai sul viale del tramonto. Aggiungo però una riflessione al mare di parole che sono state, più o meno sensatamente spese sull'argomento. Credo che la fine del Berlusconismo sia anche la fine (temporanea, molto probabilmente) di un certo tipo di antipolitica di tipo qualunquista/piccolo borghese. Se andiamo a vedere le ragioni per cui una fetta,non certo maggioritaria, ma consistente dell'opinione pubblica si era affidata a Berlusconi, sono quelle di una certa visione antipolitica della politica.
Difatti si diceva che Berlusconi fosse più affidabile in quanto non era un politico di professione. Ragionamento un tanto contorto: sarebbe come dire che al posto di Abbado o Pollini a dirigere l'orchestra della Scala ci si dovrebbe mettere il mio salumiere. Questo discorso si poggiava su altre due discutibili affermazioni: la prima era che Berlusconi era un uomo di successo e "si era fatto da solo", la seconda era che, essendo già ricco, non avesse bisogno di rubare.
Per qaunto riguarda il primo punto, il fatto che uno sappia badare, fin troppo bene, al proprio bene personale non costituisce prova certa che possa fare altrettanto per il bene pubblico, anzi. Da questo putno di vista un missionario sarebbe certamente più affidabile di un uomo d'affari qualsivoglia. E per quantto riguarda il "farsi da solo" bisognava chiedersi come fosse arrivato al successo, e si sarebbero scoperte cose alquanto imbarazzanti, sulle quali il Nostro ha sempre glissato non troppo elegantemente. e qui arriviamo dritti al secondo punto: credere che l'onestà sia data dall'appartenere ad una data classe sociale, e che se uno ruba sia solo per necessità. Certo, esistono pensionati o ragazze madre che rubano per necessità, per povertà, ma se andiamo a vedere la gran parte dei furti e dei crimini vengono compiuti da chi i soldi già ne possiede ed in abbondanza.
Anche i capi mafia in fondo potrebbero accontentarsi di quel che hanno, ed invece...
In realtà l'esercizio del potere da un lato induce chi lo esercita ad appropriarsi di ciò che non gli spetta, dall'altro lo rende quasi una necessità; per allargare la propria base di consenso devi disporre di grandi risorse e distribuirle a chi ti può aiutare, da qui il clientelismo, la copertura dei propri affiliati che si caccino nei guai, il creare reti di rapporti basati sul dare/ricevere favori (vedi P2, P3 P4 etc). E' una regola a cui pochi sfuggono, e non si capisce perché uno che ha raggiunto il successo con mille gabole (leggersi le varie biografie serie dell'uomo di Arcore per informazioni) dovrebbe infrangere tale "ferrea legge dell'oligarchia" per dirla alla Weber.
Che poi da uno che si è spacciato e si spaccia per "uno di noi" si passi ad un tecnocrate che nemmeno fa finta di avere qualcosa in comune con coloro che si appresta a spennare può essere considerata come una nemesi oppure come un rientro nella normalità o ancora come una semplice necessità, a seconda delle proprie convinzioni, ma il fatto è che, forse, di un certo tipo di retorica ci siamo liberati.

lunedì, novembre 07, 2011

la mia storia di malattia ed ospedale


Molti amici si sono chiesti cosa abbia provocato questo lungo periodo di assenza o scarsa presenza e credo sia venuto il momento di raccontarlo
Verso la fine di settembre incomincio a dare qualche colpo di tosse, cosa di cui non mi curo molto, dal momento che ogni tanto qualche colpo di tosse lo dò di default, a causa dell'aria inquinata di Milano, che certo non è l'ideale per la salute polmonare delle persone, fumo passivo od attivo a parte ( ed io non soffro né dell'uno nè dell'altro) . Fatto sta che mi provo la febbre ed ho poco più che 38.
Nei giorni successivi la febbre sale a 40 gradi per poi diminuire ma non di molto. Vado dal dottore che finalmente mi visita e mi consiglia delle lastre al torace. lametina successiva, accompagnato da mio padre, vado a fare le lastre e visita medica. Faccio molta fatica a camminare e respirare, cosa di cui mi ero già accorto nei giorni precedenti, ma la situazione è peggiorata. Il dottore della clinica, dopo aver guardato le lastre, mi dice che bisogna ricoverarmi di urgenza. Arriva l'autoambulanza e vengo trasportato all'ospedale di Niguarda dove vengo portato al Pronto soccorso, sottoposto ad una marea di esami, compresa TAC. Rimango in attesa del ricovero e ancora pensavo che me la sarei cavata con 4o 5 giorni in una normale stanza di ospedale. Invece quando mi portano al reparto mi accorgo che mi stanno portando nel reparto intensivo, in una stanza piena di macchinari dove ci sono altri due pazienti in condizioni gravi, che preferisco non guardare nemmeno.
Vengo sottoposto ad una mezz'ora di torture durante la quale vengo caterizzato, mi vengono praticati buchi su polso e collo per infilare vari tubi e due specii di rubinetti per estrarre sangue ed introdurre medicine e liquidi, più un sondino (che rigetto tre volte) che dal naso scende nello stomaco. Infine mi mettono una sorta di
casco spaziale, che è poi una delle innumerevoli maschere per respirare che dovrò indossare.
Per farla breve, passo due giorni nel reparto intensivo, poi un dottore mi dice che mi sono brillantemente ripreso da una situazione critica e verrò trasferito nel reparto sub-intensivo per poi andare in quello generale e poi tornare a casa.
Questo mi risolleva il morale,ma la strada si rivelerà ancora lunga. Passo difatti una settimana nel reparto subintensivo, in lunghe ore noiose, mangiando pochissimo, con una radio di sottofondo che mandava con rare eccezioni musica tremenda, e con questi esercizi respiratori che erano micidiali, perché alla noia di routine si aggiungeva il fatto di stare quasi immobili per circa due ore, senza vedere l'orologio ed alle volte in posizioni scomodissime.
Dopo una settimana vengo portato nel reparto generale, mi vengono tolti man mano tutti i vari aggeggi, incomincio a fare meno persino del tubino che mi dava l'ossigeno, incomincio a camminare a fatica per qualche minuto.a mangiare con ritorvato appetito (però "leggerissimo" cioè con robe scondite e tiepide) e dopo qualche altro esame e puntura (le mie braccia erano diventate come quelle di un tossico, non riuscivano nemmeno più a centrare l'arteria!) vengo "liberato".
Di tutto ciò mi rimane, oltre che qualche segno addosso, l'obbligo di prendere pillole contro la pressione alta e qualche esame da fare.
Questa esperienza mi ha insegnato qualcosa, come alle volte ci capitino cose che non ci aspettiamo e a cui dobbiamo far fronte,come non ci sia nulla di scontato, e come tante piccole cose che consideriamo normali, diventino importanti quando ne siamo privati. E come la vita vada vissuta ed assaporata in ogni momento, perché questo non durerà in eterno, anche se lo pensiamo. D'ora in avanti bere un birra avrà per me un sapore diverso, forse persino uno si acqua minerale (gasata, di quella liscia mi ci hanno riempito) come avrà più significato una bella canzone, o un bel film, forse persino uno brutto. Ed una giornata di sole (ma dove è finito) avrà un'altra bellezza.
Ed infine con sia importante avere una famiglia e degli amici che ti stanno vicini nei momenti difficili.

venerdì, agosto 05, 2011

Economia: l'esempio dell'Islanda

riporto qui un articolo scritto da Andrea degli Innocenti e comparso su cambiamento.it

di Andrea Degl'Innocenti - 13 Luglio 2011



Oggi vogliamo raccontarvi una storia, il perché lo si capirà dopo. Di quelle storie che nessuno racconta a gran voce, che vengono piuttosto sussurrate di bocca in orecchio, al massimo narrate davanti ad una tavola imbandita o inviate per e-mail ai propri amici. È la storia di una delle nazioni più ricche al mondo, che ha affrontato la crisi peggiore mai piombata addosso ad un paese industrializzato e ne è uscita nel migliore dei modi.


L'Islanda. Già, proprio quel paese che in pochi sanno dove stia esattamente, noto alla cronaca per vulcani dai nomi impronunciabili che con i loro sbuffi bianchi sono in grado di congelare il traffico aereo di un intero emisfero, ha dato il via ad un'eruzione ben più significativa, seppur molto meno conosciuta. Un'esplosione democratica che terrorizza i poteri economici e le banche di tutto il mondo, che porta con se messaggi rivoluzionari: di democrazia diretta, autodeterminazione finanziaria, annullamento del sistema del debito.


Ma procediamo con ordine. L'Islanda è un'isola di sole di 320mila anime – il paese europeo meno popolato se si escludono i micro-stati – privo di esercito. Una città come Bari spalmata su un territorio vasto 100mila chilometri quadrati, un terzo dell'intera Italia, situato un poco a sud dell'immensa Groenlandia.


15 anni di crescita economica avevano fatto dell'Islanda uno dei paesi più ricchi del mondo. Ma su quali basi poggiava questa ricchezza? Il modello di 'neoliberismo puro' applicato nel paese che ne aveva consentito il rapido sviluppo avrebbe ben presto presentato il conto. Nel 2003 tutte le banche del paese erano state privatizzate completamente. Da allora esse avevano fatto di tutto per attirare gli investimenti stranieri, adottando la tecnica dei conti online, che riducevano al minimo i costi di gestione e permettevano di applicare tassi di interesse piuttosto alti. IceSave, si chiamava il conto, una sorta del nostrano Conto Arancio. Moltissimi stranieri, soprattutto inglesi e olandesi vi avevano depositato i propri risparmi.


Così, se da un lato crescevano gli investimenti, dall'altro aumentava il debito estero delle stesse banche. Nel 2003 era pari al 200 per cento del prodotto interno lordo islandese, quattro anni dopo, nel 2007, era arrivato al 900 per cento. A dare il colpo definitivo ci pensò la crisi dei mercati finanziari del 2008. Le tre principali banche del paese, la Landsbanki, la Kaupthing e la Glitnir, caddero in fallimento e vennero nazionalizzate; il crollo della corona sull'euro – che perse in breve l'85 per cento – non fece altro che decuplicare l'entità del loro debito insoluto. Alla fine dell'anno il paese venne dichiarato in bancarotta.


Il Primo Ministro conservatore Geir Haarde, alla guida della coalizione Social-Democratica che governava il paese, chiese l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, che accordò all'Islanda un prestito di 2 miliardi e 100 milioni di dollari, cui si aggiunsero altri 2 miliardi e mezzo da parte di alcuni Paesi nordici. Intanto, le proteste ed il malcontento della popolazione aumentavano.


A gennaio, un presidio prolungato davanti al parlamento portò alle dimissioni del governo. Nel frattempo i potentati finanziari internazionali spingevano perché fossero adottate misure drastiche. Il Fondo Monetario Internazionale e l'Unione Europea proponevano allo stato islandese di di farsi carico del debito insoluto delle banche, socializzandolo. Vale a dire spalmandolo sulla popolazione. Era l'unico modo, a detta loro, per riuscire a rimborsare il debito ai creditori, in particolar modo a Olanda ed Inghilterra, che già si erano fatti carico di rimborsare i propri cittadini.


Il nuovo governo, eletto con elezioni anticipate ad aprile 2009, era una coalizione di sinistra che, pur condannando il modello neoliberista fin lì prevalente, cedette da subito alle richieste della comunità economica internazionale: con una apposita manovra di salvataggio venne proposta la restituzione dei debiti attraverso il pagamento di 3 miliardi e mezzo di euro complessivi, suddivisi fra tutte le famiglie islandesi lungo un periodo di 15 anni e con un interesse del 5,5 per cento.


Si trattava di circa 100 euro al mese a persona, che ogni cittadino della nazione avrebbe dovuto pagare per 15 anni; un totale di 18mila euro a testa per risarcire un debito contratto da un privato nei confronti di altri privati. Einars Már Gudmundsson, un romanziere islandese, ha recentemente affermato che quando avvenne il crack, “gli utili [delle banche, ndr] sono stati privatizzati ma le perdite sono state nazionalizzate”. Per i cittadini d'Islanda era decisamente troppo.

Fu qui che qualcosa si ruppe. E qualcos'altro invece si riaggiustò. Si ruppe l'idea che il debito fosse un'entità sovrana, in nome della quale era sacrificabile un'intera nazione. Che i cittadini dovessero pagare per gli errori commessi da un manipoli di banchieri e finanzieri. Si riaggiustò d'un tratto il rapporto con le istituzioni, che di fronte alla protesta generalizzata decisero finalmente di stare dalla parte di coloro che erano tenuti a rappresentare.

Accadde che il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, si rifiutò di ratificare la legge che faceva ricadere tutto il peso della crisi sulle spalle dei cittadini e indisse, su richiesta di questi ultimi, un referendum, di modo che questi si potessero esprimere.

La comunità internazionale aumentò allora la propria pressione sullo stato islandese. Olanda ed Inghilterra minacciarono pesanti ritorsioni, arrivando a paventare l'isolamento dell'Islanda. I grandi banchieri di queste due nazioni usarono il loro potere ricattare il popolo che si apprestava a votare. Nel caso in cui il referendum fosse passato, si diceva, verrà impedito ogni aiuto da parte del Fmi, bloccato il prestito precedentemente concesso. Il governo inglese arrivò a dichiarare che avrebbe adottato contro l'Islanda le classiche misure antiterrorismo: il congelamento dei risparmi e dei conti in banca degli islandesi. “Ci è stato detto che se rifiutiamo le condizioni, saremo la Cuba del nord – ha continuato Grímsson nell'intervista - ma se accettiamo, saremo l’Haiti del nord”.


A marzo 2010, il referendum venne stravinto, con il 93 per cento delle preferenze, da chi sosteneva che il debito non dovesse essere pagato dai cittadini. Le ritorsioni non si fecero attendere: il Fmi congelò immediatamente il prestito concesso. Ma la rivoluzione non si fermò. Nel frattempo, infatti, il governo – incalzato dalla folla inferocita – si era mosso per indagare le responsabilità civili e penali del crollo finanziario. L'Interpool emise un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente della Kaupthing, Sigurdur Einarsson. Gli altri banchieri implicati nella vicenda abbandonarono in fretta l'Islanda.



In questo clima concitato si decise di creare ex novo una costituzione islandese, che sottraesse il paese allo strapotere dei banchieri internazionali e del denaro virtuale. Quella vecchia risaliva a quando il paese aveva ottenuto l'indipendenza dalla Danimarca, ed era praticamente identica a quella danese eccezion fatta per degli aggiustamenti marginali (come inserire la parola 'presidente' al posto di 're').

Per la nuova carta si scelse un metodo innovativo. Venne eletta un'assemblea costituente composta da 25 cittadini. Questi furono scelti, tramite regolari elezioni, da una base di 522 che avevano presentato la candidatura. Per candidarsi era necessario essere maggiorenni, avere l'appoggio di almeno 30 persone ed essere liberi dalla tessera di un qualsiasi partito.


Ma la vera novità è stato il modo in cui è stata redatta la magna charta. "Io credo - ha detto Thorvaldur Gylfason, un membro del Consiglio costituente - che questa sia la prima volta in cui una costituzione viene abbozzata principalmente in Internet".


Chiunque poteva seguire i progressi della costituzione davanti ai propri occhi. Le riunioni del Consiglio erano trasmesse in streaming online e chiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte. Veniva così ribaltato il concetto per cui le basi di una nazione vanno poste in stanze buie e segrete, per mano di pochi saggi. La costituzione scaturita da questo processo partecipato di democrazia diretta verrà sottoposta al vaglio del parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni.

Ed eccoci così arrivati ad oggi. Con l'Islanda che si sta riprendendo dalla terribile crisi economica e lo sta facendo in modo del tutto opposto a quello che viene generalmente propagandato come inevitabile. Niente salvataggi da parte di Bce o Fmi, niente cessione della propria sovranità a nazioni straniere, ma piuttosto un percorso di riappropriazione dei diritti e della partecipazione.

Lo sappiano i cittadini greci, cui è stato detto che la svendita del settore pubblico era l'unica soluzione. E lo tengano a mente anche quelli portoghesi, spagnoli ed italiani. In Islanda è stato riaffermato un principio fondamentale: è la volontà del popolo sovrano a determinare le sorti di una nazione, e questa deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa internazionale. Per questo nessuno racconta a gran voce la storia islandese. Cosa accadrebbe se lo scoprissero tutti?

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