Dopo i fatti di Catania sembra essere risuonato in Italia un nuovo tipo di allarme sociale: La violenza negli ( o meglio fuori dagli) stadi.
La colpa di questo problema viene fatto ricadere unicamente sugli Ultras,, ovvero quei gruppi organizzati, spesso in modo paramilitare e con ideologie adeguate allo scopo (si va dal vetero stalinismo dei tifosi livornesi al neonazismo dichiarato di diversi gruppi ultras, cosa che unisce stranamente tifoseria per il resto irriducibilmente nemiche, milanisti con interisti, romanisti con laziali) presidiano le curve ma, soprattutto, si rendo protagonisti di scontri (tra di loro, con la polizia, con chi capita) e di devastazioni che, nella stragrande maggioranza dei casi, non hanno nulla a che vedere con ciò che accade sul campo di gioco, per cui anche un noiosissimo 0-0 può essere caratterizzato da scontri violentissimi (come accadde nel 1994 subito dopo un Roma-Brescia che lasciò i taccuini dei giornalisti sportivi vuoti, ma riempì per giorni quello della cronaca giudiziaria).
Ma veramente si può pensare che la colpa di tutto sia di ragazzi di 17 anni (questa l’età dell’indiziato dell’omicidio dell’agente di Polizia Filippo Raciti) ?
Se si analizzano i fatti non bisogna nascondersi dietro il dito. Le curve sono indubbiamente incunaboli di molti comportamenti socialmente “devianti”. Consumo e spaccio di sostanze stupefacenti, ricorso alla violenza e alla intimidazione, persino prostituzione(come denuciato a suo tempo da "l'Unità" e "l''espresso", sono cose che si ritrovano facilmente nelle curve italiana. E sono anche parte del fascino che queste esercitano su una parte non piccola della gioventù italiana.
Sicuramente la curva e i gruppi ultras nascono da una esigenza di socializzazione presente nelle società tardo e postindustriali. L’ultimo grande movimento generazionale che ha attraversato la società italiana è stato quello dell’ormai lontano 77. Certo c’è stato anche Genova nel 2001, ma si è trattato di un appuntamento transgenerazionale, in cui , sebbene l’apporto di fasce di età giovanili sia stato importante, non erano presenti tematiche specificatamente giovanili. Né si può sostenere che vi sia un movimento generazionale attualmente. In questo deserto ideologico e di conflitto, in una società che esalta il giovanilismo ma in cui i giovani sono, percentualmente, sempre di meno sul totale della società, in cui il precariato o la disoccupazione sono la più frequente condizione del giovane, e in cui la categoria tra i 16 e i 25 anni è solo un target commerciale, non stupisce che la curva sia diventato il maggiore, se non l’unico referente di molti giovani.
Nella curva trovano infatti un simulacro di società, una forte identità, esclusiva nei confronti di tutte le altre identità e, quindi, terreno fertile non solo alla violenza nei confronti degli altri, ma terreno fertile per il razzismo e le ideologie conseguenti.
Non a caso I gruppi Ultras si richiamano, nel nome e nel codice comportamentale, a gruppi o esperienze militari o militariste o di guerriglia.
Il concetto di contrapposizione, che è implicito nello sport agonistico, viene portato alle estreme conseguenze nella pratica del grippo Ultras. Lo scontro con gli avversari non è confinato al simulacro della partita di calcio, ma viene praticato ed esaltato nei fatti. Secondo il codice Ultrà lo scontro deve avvenire con delle regole, ma sovente, soprattutto negli ultimi anni, queste regole sono saltate con esiti drammatici (come nel caso dell’uccisione del tifoso del Genoa Spagnolo).
D’altro canto spesso l’ultras si scontra con la polizia, chiamata a fronteggiare le calate domenicali dei “Nuovi barbari”. Naturalmente i torti e le ragioni non stanno tutte da una parte in questi casi, checché ne dicano i mass-media schierati sempre “a prescindere” dalla parte delle forze dell’ordine. Anche qui ci sono stati casi in cui i disordini sono stati causati da interventi spicci e non sempre giustificati dei “tutori dell’ordine”, a volte anch’essi coinvolti nelle faide campanilistiche tra le varie frange Ultras.
La violenza insomma, esiste da ambo le parti.
In generale la violenza esiste nella società, anche se una delle pretese della società che si autodefinisce democratica, è quella di governare attraverso il consenso e non attraverso l’imposizione. Motivo per cui le guerre in cui, sempre più spesso, le democrazie risultano coinvolte vengono giustificati con l’appellativo di “missioni di pace” come se potessero esistere guerre non violente!
Ben al di là di questa retorica la violenza dei rapporti di produzione e di dominio è ben visibile per chi abita in zone dove disoccupazione e crimine più o meno organizzato la fanno da padrone, o da chi lavora senza alcun tipo di sicurezza nel futuro.
Tenuto conto di questo, e tenuto conto che Raciti non è certo la prima vittima del pallone (solo un s ettimana prima era stato ammazzato a calci e pugni Licursi, un dirigente di una squadra dilettantistica) bisogna chiedersi come mai Il Moral Panic che si è scatenato si si scatenato proprio ora.
Certo il fatto che sia morto un poliziotto ha avuto la sua palese importanza, difficilmente si sarebbero avute le stesse reazioni se a morire fosse stato proprio un ultras ( e la storia lo dimostra)
Il puntare il dito contro le curve serve anche alle componenti del calcio e alla Politica a far dimenticare le proprie responsabilità e quelle più generali.
Il mondo del calcio italiano esce (esce?) infatti da uno dei periodi più travagliati della sua storia, peraltro mai particolarmente pulita, la famosa “calciopoli”. Questo scandalo, che peraltro ha sorpreso ben ipochi dei tifosi e degli addetti ai lavori, ha dimostrato quello che molti sussurravano da tempo, ovvero che i campionati di calcio negli ultimi 10 anni erano più o meno decisi a tavolino.
Ma non solo i campionati, ma anche le campagne acquisti delle società di calcio erano controllate da una “cupola di potere”. Da tutto ciò il calcio italiano si è tirato fuori grazie ad una insperata (e un po’ fortunata) vittoria ai Mondiali e con delle sentenze piuttosto accomodanti. Questo non è bastato però a far recuperare crediblità al calcio, come dimostrano il crollo degli spettatori in tutti gli stadi.
Sull’altro lato il neo Governo Prodi, in calo di consensi per una finanziaria che ha visto eccessivi tagli alla spesa pubblica e ad alcune scelte di politica estera discutibili (vedi Afganistan e Vicenza) deve dimostrare di saper affrontare meglio del (dei) precedenti governi “L’emergenza Stadi”.
Certo, alcuni dei provvedimenti adottati dai governanti del calcio e dello Stato sfiorano il ridicolo involontario, come chiudere al pubblico le porte del Torneo giovanile di Viareggio, torneo frequentato non certo da pericolosi ultrà ma da genitori e fidanzate dei ragazzi impegnati sul campo di calcio, altri sono l’applicazione tardiva di norme che dovevano essere applicate anni fa, altre sono pura demagogia (come sospendere le partite notturne per una settimana, tra l’altro la gran parte dei morti si è avuta di pomeriggio, il già citato Spagnolo morì alle 13 del pomeriggio, così avvenne per Paparella ed altri).
Peraltro è proprio dalla classe politica che sono giunti negli ultimi anni dei pessimi esempi, in quanto ad educazione e civiltà. Basti pensare ai telefonini lanciati contro avversari politici (la curva opposta, verrebbe da dire) in Parlamento (tanto paga Pantalone!) o agli insulti sessisti di cui sono state fatte oggetto le parlamentari dopo l’approvazione della legge sulla fecondazione assisitita (legge già vergognosa di per sé)
E come fanno a lamentarsi del razzismo delle curve chi alimenta ogni giorno il razzismo, chi costruisce i CPT e vota leggio come la Bossi-Fini e dedica piazze e via ad una scrittrice dichiaratemente razzista come Oriana Fallaci?
Né migliore esempio viene dai dirigenti del calcio e dagli opinionisti, dediti a spargere veleni e polemiche insensate e pericolose.
Le curve sono insomma sì (anche) il ritrovo del tifo più becero razzista e violento, ma anche l’inevitabile prodotto e specchio di quello che è la società italiana.
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